Pizza dolce di Pasqua

Pizza dolce di Pasqua

Nei periodi di grandi festività come il Natale o la Pasqua, c’è un gran lavorio in tutte le cucine delle regioni d’Italia, per la preparazione di dolci che spesso hanno lo stesso nome, ma che, a seconda delle varie località, presentano caratteristiche che talvolta le differenziano notevolmente.
E’ questo il caso della ricetta della PIZZA DOLCE DI PASQUA, caratteristica ad esempio di Terni, come di tutta l’ Umbria, oppure di regioni come le Marche o l’Abruzzo.
Talvolta le viene anche dato l’appellativo di “ ricresciuta”, probabilmente ad indicare la notevole lievitazione che si ottiene con un doppio impasto, dovuto alla preparazione iniziale di un primo impasto a cui si aggiungono in un secondo momento i restanti ingredienti.
Solo gli ingredienti di base sono sostanzialmente gli stessi, ma poi la fantasia ha dato origine ad una tale diversificazione, che talvolta la pizza ha perso i suoi connotati caratteristici.
Quindi qui viene presentata una versione tra le più semplici in fatto di ingredienti, a cui poi ognuno potrà aggiungerne altri, a seconda del proprio gusto, come accennerò successivamente.
Ad esempio vedrete che nella ricetta sarà indicato genericamente il termine “liquore”, senza specificarne il tipo, questo perché la scelta è rimandata al gusto personale.
Personalmente ho scelto il “Cointreau”, ma vanno lo stesso bene altri liquori come ad esempio il rum, il limoncello, il maraschino, il vin santo, ecc.

L’ unico ingrediente a cui non possiamo proprio rinunciare sono i semi di anice, caratteristica essenziale di questa pizza.

Per coloro che già sono pratici dell’uso della pasta madre sicuramente è superfluo ricordare che questo tipo di lievito va usato solamente dopo averlo rinfrescato, ma forse è bene ripeterlo per quelli che sono alle prime armi.
Non solo, ma per questa ricetta, in cui è presente una buona percentuale di zuccheri e grassi, è indispensabile fare almeno due rinfreschi, ma è consigliabile eseguirne preferibilmente tre.
Gli impasti sono due, e dovremo organizzarci in modo tale da poter arrivare a fare il primo impasto intorno alle 22,30 / 23, per poi lasciarlo a lievitare tutta la notte, per circa 8 – 10 ore.
Il primo impasto è costituito da :

PRIMO IMPASTO :

90 grammi di p. m.
90 grammi di farina Manitoba
60 grammi di latte tiepido

Come si può facilmente intuire, non è altro che approssimativamente un ulteriore rinfresco, in cui, al posto dell’acqua mettiamo il latte tiepido.

Una nota particolare per le farine da usare : l’impasto contiene una notevole quantità di liquidi, per cui dovremo scegliere delle farine forti in grado di assorbirli, per arrivare ad un composto solido e non trovarci in difficoltà soprattutto al momento di lavorare l’impasto passando dalla ciotola alla spianatoia.

Poiché nei nostri pacchetti da un chilogrammo non è indicata la forza della farina
( che dovrebbe essere indicata con un W ) vi scrivo i valori delle proteine delle farine che ho usato, che sono comunque indicativi perché direttamente proporzionali alla forza.
Farina Manitoba Lo C..te proteine 14,5
Farina di grano tenero tipo “0” Bar..lla proteine 12.0
Quando metteremo a lievitare il primo impasto, contemporaneamente verseremo in una tazzina il liquore, nelle dosi descritte successivamente, mettendo in infusione per tutta la notte i semini di anice.
Al mattino prenderemo il nostro impasto lievitato, che avremo ovviamente tenuto in un posto tiepido e sarà almeno raddoppiato di volume,

e lo aggiungeremo ai seguenti ingredienti:

SECONDO IMPASTO

500 gr. di farina 300 gr. 0 e 200 gr, Manitoba ( pari al 40 % del totale )
150 gr. di zucchero
90 gr. di burro
90 gr. di latte
30 gr. di liquore
5 gr. di anice
1 uovo intero e due tuorli
un cucchiaino di sale
scorza grattugiata di un limone e di una arancia.

Come modo di procedere, chi impasta a mano prenderà una ciotola piuttosto capiente, in cui per prima cosa scioglierà con una mano o con una forchetta il primo impasto, unendolo al latte tiepido che avrà precedentemente miscelato allo zucchero.
Chi userà l’impastatrice farà la stessa cosa nella ciotola, magari, dato che l’impasto è ancora poco, non tenendola fissata alla macchina, ma leggermente sollevata con le mani.
Una volta che si sarà formata una pastella, sempre impastando, uniremo gli altri ingredienti, e cioè le uova leggermente sbattute,la farina setacciata, il liquore con i semi di anice e le scorze grattugiate, il sale, e da ultimo un po’ per volta il burro fatto a pezzetti e a temperatura ambiente.

Impastiamo fino a quando tutti gli ingredienti non saranno bene amalgamati; se avremo usato le farine con le caratteristiche suggerite, l’impasto verrà abbastanza sostenuto, il che, usando l’impastatrice, ci consentirà l’incordatura.
Questi sono gli ingredienti che io mi sento di suggerire, che sono quelli base e di estrema semplicità, ma, come dicevo all’inizio, molte possono essere le varianti e le aggiunte; praticamente ogni regione ha la sua variante, e tra le più significative segnalo l’uso di cannella, noce moscata, aroma di mandorla, vanillina, strutto o olio al posto del burro, mandorle, cioccolato, canditi, uvetta e chi più ne ha più ne metta.
Ognuno poi seguirà il proprio gusto personale aggiungendo o togliendo questo o quell’elemento.
Prendiamo l’impasto e, dopo avergli dato la formatura di una palla, poniamolo a riposare per circa un’ora in una ciotola chiusa da pellicola.


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Riprendiamo l’impasto e procediamo con le pieghe di rinforzo.
Questa tecnica è chiamata “folding”.
La realizzeremo secondo i dettami di un “guru” della panificazione come Hamelman, i cui testi sono molto interessanti ma purtroppo scritti esclusivamente in inglese.
Per comprendere meglio i suoi effetti, pensiamo alla maglia glutinica del nostro impasto immaginandola come una rete: essa trattiene all’interno i gas che consentono la lievitazione: con le pieghe che andremo a fare, ne restringeremo le maglie esaltando la sua capacità di trattenere all’interno tali gas .
Faremo due volte la stessa operazione: una adesso ed un’altra dopo un’altra ora dopo aver di nuovo messo a riposo l’impasto nelle stesse modalità precedenti.
Per eseguire questa operazione mettiamo l’impasto sulla spianatoia, spianiamolo con le mani senza usargli violenza, fino a farlo diventare un rettangolo, e poi facciamo due serie di pieghe a tre in questo modo: pieghiamo un terzo dell’impasto dal lato più lungo verso il centro; successivamente prendiamo la parte che è rimasta libera e pieghiamola su quella precedente. Avremo così un altro rettangolo.
Poi facciamo la stessa cosa questa volta con il lato più corto.
Giriamo l’impasto.
Mettiamo riposare per circa un’ora .

Per chiarezza queste sono le foto delle pieghe di rinforzo:

Ripetiamo di nuovo l’operazione delle pieghe di rinforzo e del riposo

A questo punto prendiamo l’impasto, mettiamolo sulla spianatoia e, con le mani imburrate se l’impasto è troppo morbido, formiamo una palla che cercheremo di stringere comprimendola con le mani e contemporaneamente facendola ruotare sempre nello stesso verso.


Formata la palla, possiamo metterla a lievitare nello stampo.

Io preferibilmente uso uno stampo da panettone da un chilogrammo, di dimensioni 17 x 12 centimetri ( altezza per diametro ) ponendolo su una teglia, in modo tale da agevolare gli spostamenti, una volta che l’impasto sarà lievitato ma,come poi vedrete nelle foto finali, anche altri tipi di stampi con caratteristiche volumetriche simili, possono andare benissimo.
L’impasto in questa fase raggiunge poco meno di un terzo dell’altezza dello stampo.
La lievitazione dovrà avvenire in un luogo tiepido ( io uso una camera di lievitazione impostando la temperatura a 28° e ogni tanto introducendo un pentolino di acqua bollente per favorire l’umidità ) che nella maggior parte dei casi può essere costituito dal forno eventualmente con la lucetta accesa.
Con questi ingredienti si ottiene un impasto di circa 1 chilo e 200 grammi che, una volta cotto, con una perdita di circa il 10% di umidità, darà un prodotto finale superiore di alcune decine di grammi al chilogrammo.
Ho eseguito questa ricetta diverse volte, e poiché come sempre le variabili in gioco sono molte, a partire dalla forza della nostra pasta madre per passare alla scelta delle farine, all’umidità, la temperatura e così via, i tempi di lievitazione sono stati molto diversi, da un minimo di 8 ad un massimo di 24 ore, comunque sempre con un buon risultato finale, per quanto mi sento di dire che le migliori pizze sono state quelle con tempi di lievitazione non eccessivi.
In ogni caso la lievitazione sarà ritenuta ultimata solo quando l’impasto avrà raggiunto il bordo dello stampo o sarà leggermente al di sotto, tenendo conto che la lievitazione potrà continuare anche durante la cottura.

Mettiamo lo stampo su una grata posizionata al centro del forno dopo averlo precedentemente riscaldato e con all’interno una bacinella d’acqua ; i primi dieci minuti a 220° per compensare la perdita di calore dovuta all’apertura del forno per consentire l’introduzione della pizza, e poi a 200° per circa altri 40 minuti.
Non aprire il forno prima di 30 minuti, momento in cui possiamo aprire per ruotare lo stampo di 180° se sappiamo che il nostro forno cuoce di più nella parte posteriore.
Controllando la cottura, se vediamo che la superficie della pizza si sta brunendo eccessivamente, copriamola con della carta di alluminio, continuando comunque nella cottura.
Ovviamente i tempi sono abbastanza precisi ma indicativi, per cui , come al solito, quella che fa fede è la prova dello stecchino.
A cottura ultimata, se abbiamo usato uno stampo da panettone, togliamo la pizza dalla teglia su cui l’avevamo poggiata, e poniamola a raffreddare su una grata per evitare che si formi umidità nella parte inferiore.
Le foto mostrano alcuni risultati:

Questo è tutto. Spero di essere stato chiaro e di avere dato un’idea in più da realizzare per Pasqua a chi avrà avuto la pazienza di leggere queste righe.
A tutti un abbraccio e un buon appetito da
Nonno Claudio

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